Frammenti D'inverno
website: frammenti.com
Note
Sull'Inverno
In principio era un cortometraggio. La storia di un uomo e una donna che si incontrano per caso,
che si piacciono, che si conoscono, che fanno l’amore e che si addormentano. Fino a quando lui
si risveglia e, per noia?, per estro improvviso?, inizia a dipingere l’auto di pois rossi.
Finito, resta a contemplare il disegno da lontano. Qualche istante dopo sale in auto e riparte a
tutta velocità verso il molo. Lo schermo diventa nero per alcuni secondi. Al ritorno
dell’immagine, non c’è più nulla: né l’auto né l’uomo né la ragazza. Tutto è privo di vita. Solo
il mare è vivo. E il vento. Ogni cosa insomma è scomparsa o forse non è mai esistita.
Dall’Inverno ai Frammenti
Sui Frammenti
Quando ho girato L’inverno avevo in mente un film. Quando ho finito L’inverno ho trovato il
film. Credo che si possa dire sintetizzarla così, alla fine.
Cosa sono i Frammenti d’inverno?
Un film in essere e un film-testimonianza. Quella di una sopraggiunta difficoltà produttiva che
ha “rotto” il film originale e ce lo ha reso spezzato, non finito.
Perché i Frammenti d’inverno?
Alla fine di un film “fallito” cos’altro fare se non aprirsi? Aprire il film, renderlo allo
spettatore, pure ferito; moltiplicare le inquadrature e gli schermi, così rifondare anche il
concetto di sala cinematografica.
Come?
Con uno spazio museale grande come un hangar, con cinque grandi schermi disseminati
disordinatamente (più o meno ciascuno perpendicolare all’altro) nello spazio vuoto e buio, che
proiettino ciascuno un frammento e che lo proiettino continuativamente, a loop.
Pochi osservatori per volta, lasciati liberi di muoversi, di ondeggiare, attirati dai suoni e
dalle luci che provengono ora da uno schermo ora dall’altro.
Per questo dunque “film aperto”…
Ho pensato che esattamente come noi tutti - io, gli attori, la troupe, i miei produttori - ci
siamo smarriti nel girare questo film, allo stesso modo vorrei che anche lo spettatore si
smarrisse fra i cinque grandi Frammenti. Dare cioè l’impressione di un film ancora una volta
“sospeso”, non solo nel racconto, non solo nello stile ma addirittura nella modalità di visione.
Come, tecnicamente?
Con cinque schermi, cinque lettori o videoproiettori, dieci casse e tanto buio intorno. Più
specificatamente, con due versioni, una alternativa all’altra, per le diverse situazioni. Quella
low budget, fatta in spazi più angusti, sale piccole, con cinque tv digitali e cinque lettori
blu-ray; e quella high budget, fatta in spazi più vasti come le chiese abbandonate o gli hangar,
con schermi per proiezioni cinematografiche e degli ottimi videoproiettori digitali. L’audio è
stereo in entrambi i casi. Comune pertanto è la diffusione del suono: basteranno due ottime
casse per ciascuno schermo.
sperimentale / art film
IT 2014 - 2015 | 18' | col. | SHD - 4K
una produzione Associazione Culturale Azteca | in collaborazione con Azteca Produzioni Cinematografiche, Media Land e Sharoncinema Production | produzione esecutiva Rita Surdo per Sharoncinema Production | regia e sceneggiatura Gianluca Colitta | collaborazione alla sceneggiatura Cesare Landricina | fotografia (col. SHD) Giuseppe Truppi | scene Marcella Mosca, Egle Calò e Corrado Pizzi | costumi Marcella Mosca e Allegra Mori Ubaldini | musiche e sound design Luigi Porto | montaggio Tiziana Settembrini | montaggio addizionale Paola D'Andrea | aiuto regia Esmeralda "Dada" Da Ru | aiuto regia in preproduzione Gabriella Barbati e Viviana Dominici | segretaria di edizione Francesca D'Antoni | suono in preda diretta Andrea Mazzotta | direttore di produzione Leonardo Peluso (Sharoncinema) assistenti di produzione Roberta Stifini, Luigi Nico, Giovanni Castelluccio | operatore di macchina Giuseppe Truppi | assistente operatore Gennaro Visciano | aiuto operatore Pier Paolo Battocchio | macchinista / elettricista Simone Petrelli / trucco e parrucco Roberta Stifini | interpreti principali Andrea Onori e Marie Marlard.
L'abito da sposa pelle e ossa
Note di regia
Il breve film è un’astrazione, una rappresentazione simbolica del racconto. La protagonista –
come
una cercatrice d’oro – peregrina in un luogo surreale con aria regale, ieratica, quasi distante.
Padrona e prigioniera di uno spazio che “non è un bosco né un parco: è un giardino incantato, né
più
né meno” (Mann); un posto che è una proiezione labirintica del suo inconscio. Quello che la
circonda è “una realtà tangibile divenuta visione”. Eppure quest’aria sacra e maestosa del
personaggio si perde nel finale, l’unico momento dove vediamo per bene il suo viso. Dove vediamo
uno sguardo che guarda noi e invoca pietà, compassione. Quello che questa cercatrice d’oro trova
è
appunto la sua fragilità e friabilità.
Leggendo il racconto Pelleossa di Paolo Cognetti mi è venuto spontaneo soffermarmi su tre,
quattro
elementi. Il matrimonio ("Qui ci sposiamo per andare via", p. 35), il ciclo mestruale ("Qui
abbiamo
una bambina che scopre l'esistenza del sesso e smette di mangiare. Senza saperlo fa la cosa
giusta,
visto che l'anoressia interrompe il ciclo mestruale", p. 30), il corpo come una casa abitata dai
fantasmi ("Non credere anche tu a quello che vedi, per favore, non tu. Il corpo che hai davanti
è una
casa abitata dai fantasmi: un posto pieno di ragnatele, scale storte e pavimenti marci", p.28),
"l'anoressia come forma di misticismo" (p. 29).
Mi avevano colpito queste frasi e le avevo annotate mentre che leggevo. Mi è venuto facile
immaginare una donna la cui magrezza rivelatrice non scopriamo subito ma alla fine. Una donna
rossa come ciò da cui rifugge, il sangue e la vita. Una donna chiusa dentro una specie di
labirinto,
che è mentale e no, che è il suo corpo e che è fuori dal suo corpo, esattamente come la clinica
e i
corpi nei quali sono rinchiuse le protagoniste di Cognetti. Infine, una donna che cuce un abito
da
sposa, perché, come dice l'autore, spesso è il matrimonio l'unica via di fuga, un matrimonio
oggetto,
desiderato solo per la fuga e non per l'amore.
E il primo luogo-non luogo che mi è venuto in mente è stata la Scarzuola, la grande costruzione
scenografica di Tomaso Buzzi, la città ideale, neoplatonica, onirica e labirintica, in cui ogni
cosa si trova e ogni cosa si perde. La città di tufo, friabile, che sorge e muore ogni giorno.
Una città mistica, sacra, dove il tempo non c'è, dove il tempo è sospeso. Dove tutto è sospeso.
La luce e la storia. Dove è sospesa anche la vita. E la morte. Come nell'anoressia.
drammatico / art film
IT 2014 | 4' | col. | HD
una produzione Media Land | regia e sceneggiatura Gianluca Colitta | fotografia (col. HD) Eugenio Barzaghi | scenografia Tomaso Buzzi (La Scarzuola) | costumi Gianluca Carrozza | montaggio Paola D'Andrea | musica e sound design Luigi Porto | aiuto regia Esmeralda "Dada" Da Ru | segretaria di edizione Francesca D'Antoni | correzione colore Diego Capitani | produttore Cesare Landricina | organizzazione Gianluca Colitta e Dada Da Ru | interprete Giulia Tubili.
La nebbia
Due ex amanti si rincontrano per dirsi addio definitivamente. Lui, un attore di provincia, e Lei, una prostituta, una notte si ritrovano sotto la pioggia. Si parlano, si analizzano, cercano di far chiarezza. Poi si separano ancora, fino al momento in cui entrambi, ormai distanti e soli, si sentiranno uniti, accomunati da un spietato sentimento di consapevolezza. Sarà la consapevolezza della fine, del vuoto.
drammatico / art film
IT 2010 | 22' | col. | HDV
una produzione Gianluca Colitta, con il sostegno di Omega Tech, Pi. Sa. Film e Movie Sound Editor | soggetto e regia Gianluca Colitta | sceneggiatura e dialoghi Gianluca Colitta e Riccardo Papa | collaborazione alla sceneggiatura Alessio Trabacchini | fotografia (col., HDV) Vincenzo Fiorini | fotografia addizionale (col., HDV) Luca Corretti | montaggio Diana De Paolis | musiche originale e sound design Luigi Porto | scenografia Valentina Malafronte | coreografie Teatro Instabile di Aosta | organizzazione Sara Sergi | aiuto regia Gabriella Barbati | segretaria di edizione Marta Usai | produzione esecutiva Gabriella Barbati, Sara Sergi, Gianluca Colitta | assistente di produzione Ines Scumace | operatore di macchina Vincenzo Fiorini | assistente operatore Giuseppe Blasi | trucco Alessandra Giacci | intepreti principali Marco Castelli e Tiziana Santercole.
Nelle pietre
"Nelle pietre" è ambientato nelle aeree archeologiche di Sperlonga (LT) e Minturno (LT). Attraverso la metafora dei luoghi e degli spazi (della villa di Tiberio, dell’antica Minturnae) il corto presenta un momento di solitudine e smarrimento e racconta le suggestioni sonore di cui è preda la giovane donna protagonista, nel rievocare i ricordi di un amore ormai finito. Fra quelle pietre d’antica bellezza riaffiorano i sentimenti vissuti tempo addietro. In quelle rovine la ragazza crede di rincontrare il suo amato; da esse si fa travolgere; con esse, nel drammatico finale, si fonderà. "La pietra, dunque, come evocazione del passato: storico e esistenziale; lo spazio come luogo dell’anima; la rovina come specchio del Sé. Ecco, è questa la filosofia che tiene l’intero progetto: l’idea che l’antico possa farsi evocazione non della sua Storia ma della storia soggettiva di ciascuno. In questo modo io credo che la compenetrazione fra individuo e cultura, fra uomo e territorio, si realizzi nel modo più totale" (Colitta).
drammatico / art film
IT 2008 | 9' | col. | HDV
una produzione Gianluca Colitta, Filmmaker25fps con il contributo di PartenoPulp, Soprintedenza per i beni archeologici del Lazio | regia, soggetto, sceneggiatura e monologo Gianluca Colitta | collaborazione alla sceneggiatura Alessio Trabacchini | fotografia (col. HDV) Luca Corretti | montaggio Giuseppe Truppi | musiche originali e sound design Luigi Porto | organizzazione e aiuto regia Gabriella Barbati | operatore di macchina Luca Corretti | assistente operatore Marco Petrillo | interprete Tiziana Santercole.
Parole d'amare
Carmela si sveglia di primo mattino: appare stanca, triste, malinconica. E’ preda di un passato
sereno, forse addirittura felice, quello condiviso con Pietro, un clown di provincia, una specie
di prestidigitatore, di bonario maghetto senza arte né parte.
"M'interessava mettere a fuoco l’elemento della perdita dell'altro come parte di sé e, quindi,
come perdita di se stessi, come annichilimento. M'interessava illuminare la consapevolezza della
fine incombente, il momento nel quale la protagonista smette di amare per amarsi, per donarsi,
per capirsi. Per capire cioè la necessità di voltar pagina. Questa fase, sentimentalmente,
determinerà le sue scelte future. Ora deve decidere se restare legata ad un uomo che l'ama, ma
per il quale non avverte più alcun trasporto, oppure abbandonarlo, perché incapace di amarlo
come un tempo. Ma è un processo lento e difficile; e il film non ne racconta che l’inizio. Cosa
deciderà non ci riguarda, è affar suo: io mi sono limitato a documentare un sentimento"
(Colitta).
"Ho lavorato su pochi elementi per comunicare direttamente con lo spettatore; ho utilizzato il
suono per codificare il pensiero di Carmela, per rendere la sua confusione, e il ticchettìo di
un pendolo per inondare le sequenze d’un senso d’immobilità reiterata.
Ho lavorato, infine, su una regia semplice, essenziale, francescana" (Colitta).
drammatico / art film
IT 2004 | 12' | B/N | MINIDV
una produzione L'Autodidatta | regia e soggetto Gianluca Colitta | sceneggiatura e monologo Gianluca Colitta, Massimiliano Perrotta | fotografia (col. HDV) Luca Corretti | montaggio Marco Grandinetti | musiche Christian Chironi, Andrea Musio, o-side | arrangiamenti delle musiche Andrea Musio | sound design Francesco Lorandi | scene e costumi Aurora Albanese | intepreti Tiziana Santercole e Marco Castelli.
PASSAGGI
Una donna ritorna dal passato: in questo cimitero di ricordi, ferite e morti, resta chiusa, imprigionata come dentro un liquido sieroso ma limpido; come dentro un amnio, che la conserverà ancora a lungo.
PASSAGGI comincia con l’acqua. Perché proprio con l’acqua? Potrei arrampicarmi, cercare dialetticamente qualche forma di spiegazione, e ciascuna suonerebbe falsa e artefatta. Non lo so proprio, questo è quanto di più sincero io possa dire.
In PASSAGGI, storia di attraversamenti e di cambiamenti di stato, una donna ritorna dal passato per cosa? Per vendetta, cui talvolta la sua animalità ci indirizzerebbe? Per caso, cui il suo spaesamento iniziale farebbe credere? Per ri-trovare qualcuno o qualcosa, per riappropriarsene? E questo ritorno è un ritorno dove?
Forse, arrivata da un esilio, questa donna approda all’improvviso, magari portata proprio dall’acqua, in un luogo perso della coscienza: un posto segreto, intimo, dentro sé stessa. Sembra spaesata, eppure sa bene cosa fare.
Ecco, vorrei che tutto sembrasse come avvolto da una foschia chiara, una serenità remota, una strana transitorietà allucinatoria.
Passaggio allora da uno stato all’altro, attraversamento di sé; passaggi, dentro lo stato della propria coscienza. Dentro la propria mente.
drammatico / art film / sperimentale
IT/BE 2020 | 19' | b/n | HD 16/9 | stereo - 5.1
una produzione Undr | sceneggiatura, fotografia e regia Gianluca Colitta | montaggio Stefania Vanoussis | sound design Thibaut Jamar | interprete Julia Bondone | distribuzione festival Prem1ere film